Le traduzioni nel mondo del cinema
Le traduzioni nel mondo del cinema sono sempre argomento di discussione tra chi preferisce l’originale sottotitolato per apprezzare il sapore della scena, appunto, originale – forse a sfavore della piena comprensione e attenzione sull’azione – e chi sposa il doppiaggio – che ovvia naturalmente ai problemi di comprensione e a volte di intraducibilità, tuttavia proponendo spesso un cambiamento del contenuto espresso.
La traduzione, a scopo cinematografico, vuole trasportare gli stessi concetti ed effetti da una cultura all’altra, ma non è sempre possibile, in particolare laddove si incappa in uno scomodo avvicinamento alla lingua di destinazione, già protagonista della scena originale. E allora si può optare per uno spostamento per tentare di mantenere l’effetto della scena. Non a caso si parla di “adattamento” cinematografico. Forse a volte a sfavore della piena riuscita del passaggio anche nella lingua di destinazione.
La scena degli italiani americani al cinema in “Bastardi senza gloria” ne è un esempio eclatante, che coglie in pieno la difficoltà che si trova ad affrontare il traduttore in tali circostanze.
Questa scena è molto comica in origine: Brad Pitt che risponde a suon di “buongiorno”, “grazie” e “arrivederci” con accento spiccatamente americano (mentre doveva spacciarsi per italiano madrelingua), gli altri due finti italiani che articolano il loro nome forzando un presunto accento italiano e facendo il tipico gesto con la mano a carciofo di “che vuoi” per il quale noi italiani siamo noti in tutto il mondo, il colonnello Landa che sapendo delle loro false identità li tormenta in un italiano impeccabile chiedendogli di ripetere innumerevoli volte il loro nome e gratificandoli dopo il terzo o quarto tentativo con un sonoro “bravo!” come ad incoraggiare uno studente mediocre…la scena è effettivamente notevole.
Nella versione italiana la comicità si sposta non sulle pronunce ma sulle origini meridionali. La scelta dei dialetti invece che delle diverse lingue si rende quasi necessaria, altrimenti come giustificare il loro improvviso accento americano all’ascoltatore italiano che li ha sentiti parlare un perfetto italiano fino a poco prima e la gestualità messa in scena dagli attori, palesemente imitante lo stereotipo dell’italiano. E per sortire l’effetto “mi spaccio per, ma non lo sono”, si è optato per l’imitazione del dialetto meridionale che non appartiene in alcun modo al parlante nella scena doppiata.
Siamo forse di fronte ad un caso di “lost in translation”, e a risentirne è forse la piena efficacia comica del momento, ma si offre una valida soluzione per far quadrare la scena e renderla comunque sufficientemente credibile.