In passato si attribuiva a scienziati e letterati l’abitudine o la facoltà di creare nuove parole, mentre oggi i più prolifici creatori di neologismi sono i pubblicitari e coloro che più in generale lavorano sui media e attraverso i media. I giornali, la televisione e i social media contribuiscono costantemente e in maniera incisiva all’evoluzione della lingua e alla diffusione di nuovi vocaboli e modi di dire. I diversi tempi di fruizione influenzano la velocità con cui i neologismi entrano nella vita quotidiana e nel linguaggio comune – lo abbiamo visto, nel periodo del Covid-19, con il termine smart working che si è affiancato e ha rimpiazzato il pur esistente “lavoro agile” o “da remoto”, quest’ultimo praticamente dimenticato.
Questo è il motivo per cui l’evoluzione del linguaggio appare legata a doppio nodo anche alla diversità generazionale. I giovani e gli adulti “consumano” più social degli anziani, ed è così che il linguaggio si rinfresca seguendo il parlato dei più giovani, in via del tutto naturale.
Esempi di neologismi (da anglicismi) nel mondo del lavoro
Ecco alcuni esempi di neologismi di successo provenienti dall’inglese, che tutti abbiamo usato almeno una volta nella vita, in ambito personale e professionale, in particolar modo nel mondo della comunicazione e della pubblicità.
Tanto per cominciare, performante: derivato direttamente dal verbo inglese “to perform” indica un oggetto o uno strumento estremamente efficiente. L’utilizzo italiano si è discostato molto dal significato originale della parola inglese, dal momento che “to perform” significa “portare a termine un compito o un’azione, eseguire una performance artistica”. E poi anche photoshoppare (migliorare una foto come fa il programma Photoshop) o briffare (da “to brief” che vuol dire ragguagliare, aggiornare su una situazione). Di uso comune in ambito professionale è poi benchmark, di cui mi viene naturale dare una definizione con un altro anglicismo, ovvero standard.
A condizionare i «nuovi coni» è anche la vorticosa innovazione tecnologica in sé e per sé. Big data, fotogallery, multitouch, youtuber, QR code sono alcuni lemmi che abbiamo adottato nella nostra vita di tutti i giorni. Come dicevo, le nostre abitudini sono state modificate in modo significativo anche dall’affermazione delle reti sociali e si sono diffusi vocaboli come influencer: è un personaggio popolare del web che ha la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un gruppo di utenti. Oppure si è imposto l’hater, l’odiatore, che approfittando dell’anonimato di Internet o dei social ricorre a un gergo violento online. Senza contare poi postare e cliccare, totalmente italianizzati; forse un po’ più esotici ancora, ma comunque di uso comune e completamente adattati alla nostra lingua per quanto intrinsecamente legati all’inglese -, sono oggi whatsappare, googlare, bloggare, twittare e ritwittare.
Io sono evidentemente, per natura, interessi e ovviamente vocazione professionale, aperta all’evoluzione della lingua, al code-switching e all’uso gergale e non di termini che non appartengono all’italiano. Ma insomma, vogliamo parlarne di quando ti viene detto di prendere ad un convegno la shopperina o sherare lo schermo di Zoom??? Ecco, qui quando sento queste parole, o un uso esagerato dell’inglese laddove abbiamo fior fior di espressioni equivalenti in italiano funzionanti, solo per suonare più cool, e magari il soggetto che parla ti snocciola anche un bel (scrivo in pronuncia italiana) /manèigment/ o /develòpment/ o /àgent/ (con la A di gatto naturalmente) o ancora /pèrformas/ …beh, qui divento una super purista arcaica e ostinata dell’italiano, o ti propongo un serio corso di inglese per il lavoro.
A volte mi vien proprio da dire: ma parla come mangi!