Spaventosa percentuale attuale di aumento dei casi di Covid-19 in Italia a parte, siamo stati indicati di recente come paese modello nella gestione a livello sociale della pandemia e delle regole che questa ha imposto sulla persona. Scusaaaa? Gli italiani che rispettano le regole????? Gli americani e i francesi che non le rispettano, che si rifiutano di portare la mascherina? Qualcosa non mi torna…ma in realtà forse anche sì se pensiamo ai valori sottostanti della cultura di riferimento.
Qualche giorno fa mi è capitato di affrontare con dei colleghi una lettura e relativo video sul “Cultural Iceberg Model” di Edward T. Hall, che mi ha fatto molto riflettere sui valori del nostro Paese e di quelli di altre culture con cui siamo strettamente a contatto, e mi sono interrogata su come questi stiano entrando in gioco nella gestione della pandemia da Covid-19. La “Iceberg Theory” sostiene che la cultura, proprio come un iceberg, è formata da parti visibili e invisibili. Le manifestazioni di una data cultura sono solo la punta dell’iceberg. Tuttavia, è la parte sottostante e nascosta che rappresenta il fondamento di queste manifestazioni visibili. Le leggi, i costumi, i riti, la gestualità, il modo di vestire, il cibo e le abitudini alimentari, le consuetudini nel salutarsi … Questi elementi fanno tutti parte di una cultura, ma rappresentano solo la punta dell’”iceberg culturale”. Gli elementi più influenti di una cultura sono quelli che giacciono sotto la superficie delle interazioni quotidiane. Tali elementi si definiscono ‘orientamenti nei valori’. Gli orientamenti nei valori sono le preferenze per alcuni risultati rispetto ad altri. Secondo studi relativi a questa tematica, le culture nazionali differiscono in particolar modo a livello di valori, solitamente inconsci, in cui crede la maggior parte della popolazione. I valori in questo caso sono definiti come “vistose preferenze per determinati/e elementi/situazioni rispetto ad altri/e”.
Ora, fatta questa premessa, non vorrei sembrare anti-Stati Uniti, non lo sono. Ma leggo, per esempio, nel briefing giornaliero del New York Times di mercoledì 18 marzo 2020, Melina Delkic, a capo dell’edizione europea del briefing giornaliero, che parla con Donald McNeil, reporter sulla salute. Delkic definiva con precisione la maggiore difficoltà nel fermare il Coronavirus negli Stati Uniti: quel senso di auto-importanza che in inglese si chiama “self-entitlement” e l’egoismo. Delkic scriveva: “E’ assolutamente urgente che l’America imiti quello che ha fatto la Cina. La Cina ha avuto un massiccio scoppio epidemico sparso per tutto il paese, e lo hanno quasi fermato. Noi possiamo chiudere le strade, eliminare i voli, gli autobus e i treni. Io non credo che riusciremo mai a fare esattamente quello che ha fatto la Cina. Causerà un enorme spaccatura sociale perché agli Americani non piace che gli si dica quello che devono fare”. Il commento di Delkic e il suo rimando alla Cina mi porta a pensare a tratti importanti della cultura cinese, ovvero l’omogeneità, l’intrinseco rispetto per l’autorità e il gran senso di collettività. Non siete d’accordo? In America la riluttanza che Delkic ha identificato come un’attitudine distintamente “americana”- di rifiutarsi di seguire gli ordini – è chiamato spirito di indipendenza ed è un valore fondamentale. Gli americani venerano poi l’indipendenza dell’individuo, l’energica azione individuale e la Costituzione. Sembra poi che il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, nell’ordinare un blocco totale nazionale nel tentativo di arginare l’espansione del Coronavirus a marzo, sia stato criticato in America in quanto promotore di un’azione dittatoriale; è stato scritto che la sua sia stata una cinica presa del potere, esprimendo con quest’accusa il timore per la sopravvivenza della democrazia in Italia, in quanto tali azioni hanno minato le libertà civili e la democrazia liberale in Italia. Sempre nell’articolo del New York Times che leggevo, alla domanda di McNeil su quello che l’America non stesse facendo nella sua risposta a questa crisi globale, Delkic ha risposto: il “senso di azione collettiva e altruismo….Questo è quanto manca agli americani, capire che in questo momento non bisogna pensare solo a se stessi.”. Diciamo che se penso al valore del “Sogno Americano”, ovvero alla speranza che attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica, con la possibilità per ciascuno di realizzarsi secondo le proprie capacità personali e di essere riconosciuto dagli altri per quello che è, a prescindere dallo status di nascita, la difficoltà americana di attenersi alla limitazione delle libertà (inclusa quella di lavorare) imposte dal Covid mi torna del tutto.
Penso poi al motto francese Liberté, Égalité, Fraternité, che rappresenta un valore intrinseco fortissimo per la Francia, un caposaldo irrinunciabile della moderna cultura francese nato dalla fucina d’idee della rivoluzione. E allora, nuovamente, in quest’ottica mi quadrano i commenti forti degli amici francesi o italiani o stranieri che vivono in Francia quando mi dicono della popolazione francese: qui non frega niente a nessuno, fanno tutti come vogliono, sembra che il Covid non esista neanche a guardare come si comporta la gente.
E allora mi chiedo: qual è il valore italiano sottostante a questo decantato – ma allo stesso tempo inaspettato e fuori da ogni visibile stereotipo nazionale – rispetto delle regole, che sembra star determinando un miglior risultano in Italia rispetto ad altri paesi in termini di contenimento degli effetti del Covid? La mia risposta forse cade spontaneamente su quel patriottismo e sulla solidarietà umana che ci ha portati a cantare “Fratelli d’Italia” dai balconi quando eravamo tutti sotto chiave nelle nostre abitazioni durante il lockdown. Ma anche e soprattutto sul valore della famiglia, di protezione della stessa, degli amati genitori, dell’amata mamma, che spesso ci denota come eterni mammoni. Stiamo tutti, ad esempio, genitori che lavorano soprattutto, cercando di coinvolgere il meno possibile i nonni nell’aiutarci con i bambini nella difficile gestione delle giornate ai tempi del Covid, con scuola a distanza e allo stesso tempo lavoro da remoto, nonostante la forte mancanza che questo comporti a livello di sostegno.
Che ci stia forse, per una volta e in una circostanza che più seria e grave non si può, il noioso seppur veritiero appellativo con cui ci descrivono all’estero Mama’s Boys (e magari anche Girls, per la par condicio), correndo in aiuto?